Un caro ricordo anche per Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonio Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni. Riprendo un piccolo pezzo che ho scritto ne L’ultima nuvola:
…Mori non mollava la presa, alla fine u curtu aprì la bocca per ammettere la sua identità e chiedere un avvocato, lui che della legge se ne era sempre strafottuto le palle, mah!
Comunque, quel giorno si era realizzata la più bella scultura di giustizia mai vista, dopo che Falcone e Borsellino erano stati fatti volare in aria dagli assassini comandati da quel capo mafia, che tanti figli e mogli di giudici, poliziotti, carabinieri e gente normale dovevano ringraziare per averli fatti rimanere orfani e vedove.
Falcone e Borsellino, altri idoli di Giorgio. Il primo saltato in aria alle 17,59 di sabato 23 maggio 1992 insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti di scorta, dopo che qualcuno aveva diligentemente comunicato agli assassini gli spostamenti che dovevano rimanere segreti.
Il secondo trucidato in Via D’Amelio con tutta la scorta, neanche due mesi dopo la strage di Capaci: una Fiat 126, piena di tritolo all’inverosimile, li fece volare tutti in aria, in quella strada che Agostino Catalano, il caposcorta, riteneva troppo pericolosa. Avevano chiesto con insistenza che davanti alla casa della madre del giudice fosse prevista una zona di rimozione. Il comune di Palermo rispose niet e così in quel piccolo budello di asfalto qualcuno aveva potuto parcheggiare l’autobomba.
Giorgio non perdeva un’intervista o un servizio su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Del primo si ricordava che alla domanda: “Ma lei non teme per la sua vita?” il giudice, con un sorriso determinato e insieme malinconico, come di chi sa che è ora di morire e non si può fare altrimenti, rispose: “Vede questo bottone? Ecco, la mia vita vale quanto il bottone di questa giacca.” Quando il giornalista gli chiese perché non aveva figli, Falcone lo guardò…e fu sufficiente.
Di Borsellino, l’accanimento con il quale fumava e la maschera spettrale che forava il video prima all’ospedale, poi ai funerali del suo amico e collega Giovanni. Si ricordava a memoria un’intervista nella quale Borsellino sosteneva che i giudici potevano agire solo in parte nella lotta alla mafia perché questa istituzione antistato attirava molti consensi in quanto ritenuta più efficiente, e alla fine più utile per un lavoro o chissà cosa, dello Stato. Aspirò una lunga boccata, chiuse gli occhi e disse, deciso, che bisognava partire dai giovani, che la scuola doveva ribaltare il processo perverso dell’antistato, formando nei ragazzi la cultura dello Stato e delle istituzioni. Chissà se quel giudice un pò stempiato, dai baffi pieni e brizzolati pensò ai giovani, ai suoi figli, mentre volava in aria? Chissà, ne avrà avuto il tempo? E chissà se mentre volava in aria vide un investigatore sottrarre l’agendina rossa, dalla quale non si separava mai, dalla sua borsa? Risposta non c’è, ma di quell’agendina non se ne seppe più niente!
Falcone e Borsellino, massacrati dalle dita sozze di Giovanni Brusca, u verru, lo scannacristiani, il boss pentito di Cosa Nostra al quale era stato concesso lo status di collaboratore dello Stato. Era troppo, tanto che la sorella di Falcone si indignò a morte, chiedendosi come si poteva credere ad un uomo (?) così, al carnefice di suo fratello, al macellaio che aveva assassinato decine e decine di persone come scarafaggi, a quello che gli stessi suoi accoliti chiamavano “il maiale” perché aveva strangolato e sciolto nell’acido un ragazzino, figlio di un pentito.
Non c’è pace per Giorgio, il giovane carabiniere della Tenenza di Portoferraio.
Questa notte la sua testa non sta ferma, sollecitata da ricordi che si accavallano su altri ricordi in modo disordinato, o semplicemente seguendo un ordine non sbagliato ma inconscio, e forse per questo più vero.
Un pezzo di questi ricordi lascia in bocca un amaro particolarmente sgradevole e pungente.
Ultimo, dopo quel incredibile successo, venne inquisito con ben due inchieste giudiziarie, fino a insinuare che intenzionalmente avesse allascato i controlli alla villa in cui viveva Riina perché qualcuno potesse trafugare chissà che cosa. Neanche fosse mascariato, proprio lui che aveva rischiato la vita sua e dei suoi ragazzi: che roba!
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