Manager con giacca e camicia strappate

Care e cari Naviganti, ecco l’ultimo articolo di Persone & Conoscenze, nel quale riprendo un fatto accaduto tempo fa e troppo in fretta, a mio parere, dimenticato. A proposito, in questi giorni ho finito il libro della Marzano, al quale faccio riferimento: ne trarrò alcune rubriche perché era da un po’ che non mi imbattevo in un manifesto anti – impresa così avvelenato.
Vi ringrazio dell’attenzione e anche dell’affetto che ho sentito in diversi messaggi che mi avete inviato, commentando ciò che scrivo.
Mi fa piacere condividere con voi delle riflessioni che spero non assumano il tono delle prediche: se così fosse, ditemelo, per favore. Oltre che irritanti, le prediche sono anche inutili, quando non dannose.
Come sempre, cliccate sull’immagine per leggere o scaricare l’articolo. Vi auguro con tutta sincerità le migliori cose possibili per il 2016. Buona lettura! Lauro
PEC 108

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Care e cari Naviganti, ho ricevuto diverse mail anche questa volta. Potrei dire che si dividono in due grandi insiemi: chi è completamente d’accordo e quelli del “Sì, però anche i manager…”.
Non amo equivocare su queste questioni e dico subito che il pesce puzza dalla testa. Detesto i capi incompetenti e corrotti e ne ho scritto anche un libro.
Credo però che se Air France deve licenziare sia perché altre compagnie più aggressive le tolgono quote di mercato. Mi viene in mente Alitalia, un carrozzone che ci è costato chissà quanto, per non parlare delle Banche e della Finanza. Quando si deve mettere mano ai “diritti acquisiti” sembra che si scateni una guerra stellare.
Pertanto riconosco che il tema sia complesso: da un lato è giusto indignarsi e sarebbe sano e doveroso punire manager che hanno preso stipendi indecenti per risultati ancor più indecenti. Questo avviene quasi esclusivamente nelle aziende pubbliche o para pubbliche. Il dramma è che, come dice sagacemente un lettore, spesso confondiamo il bancario con il banchiere. E quest’ultimo è oggettivamente più inarrivabile e protetto del responsabile del personale, che pur dovrebbe avere suoi principi guida, finanche etici.

Dall’altro, ripeto, quando si arriva a situazioni come Air France spesso è perché, con la complicità dei sindacati, si sono anestetizzati i segnali di crisi mettendo la polvere sotto il tappeto degli ammortizzatori sociali.
E’ anche vero che non si possono lasciare per strada persone ultra cinquantenni senza il minimo vitale per sopravvivere: credo che sia urgente parlare di riforme dello stato sociale che contemplino anche strumenti di integrazione economica come il reddito di cittadinanza, utilizzato prevalentemente nel nord Europa. Occorre mettere al centro non il lavoratore o l’ex lavoratore (tra i quali incluso anche i lavoratori autonomi e gli artigiani), ma il cittadino, che ha il diritto di poter campare dignitosamente e il dovere di accettare un lavoro che possa essere utile a sé o alla collettività.
Appunto, questioni complesse. Nella mia piccola rubrica ho voluto evidenziare che con semplificazioni e schemi di contrapposizione triti e ritriti non solo non andremo lontano, ma ci faremo del male.

Ecco la prima mail di un affermato professionista con il quale collaboriamo:

Caro dottor  Venturi, condivido il Suo pensiero. In questa incapacità generale di spiegare i fenomeni in atto (crisi economiche, riduzione delle opportunità di lavoro, guerre e indigenza), dopo una lunga serie di anni nei quali pareva che le sorti magnifiche e progressive fossero inarrestabili, si trova solo la risposta antica: Ammazziamo il Capro, che prenda su di  sé la responsabilità di tutto il male. Così, invece del Faussone della Chiave a Stella, che, con responsabile individualismo,  traeva soddisfazione soltanto dal lavoro ben fatto, l’uomo contemporaneo  si scatena a strappare camicie, quando va bene,  in una lotta di tutti contro tutti. Il giornalista e il sindacalista, esponenti professionali della denuncia gratuita e irresponsabile, hanno sostituito le tricoteuses che facevano la maglia ai piedi della ghigliottina in tempi non del tutto dissimili dai nostri. Buon Anno”.

Questa è la mail di un amico manager, che ho già citato in diverse rubriche: “Caro amico mio,siamo sopra una bella barca. Io dentro credo di avere due gemellini ribelli, e a volte pure maldestri. E spesso fatico a tenerli a bada , lesti come sono nel tentare di sfogare la loro indole prima che il papà con un briciolo di saggezza li domi a dovere.
La nostra categoria è come dicono in oriente quella del ‘in between’, che ha un significato anche sessista ma che esprime bene il concetto.
E la cosa peggiore è che , tranne alcuni nomi della categoria molto blasonati e che navigano su galassie differenti dalle nostre, veniamo alla ribalta solo nei casi di disastri. Casi che non fanno certo onore alla categoria. Coloro che invece giorno per giorno ci mettono faccia e schiena, facendo da cuscino tra proprietà e maestranze (non so se sia ancora in uso questo sostantivo) e danno il loro modesto contributo a mantenere il timone delle aziende verso le rispettive rotte, senza che la scia tracciata assomigli troppo alla traccia di un fuoripista, sono sconosciuti ai più . E in fondo è anche  giusto così. Le aziende in cui noi operiamo, pur con fatturati di tutto rispetto, sono ancora quelle aziende in cui  se un anno va male , prima di leggerlo sul bilancio lo leggi stampato sulla faccia del titolare. E ti assicuro che in quel caso ce n’è per tutti. Ma non certo di premi a pioggia, come succede in certi istituti della finanza che sono sulla bocca di tutti in questi giorni.
Ma per il “collettivo” noi siamo il manager, quello che guadagna tanto sempre e comunque. Soldi facili… Pensieri e responsabilità non hanno evidenza, come una macchia di sudore sulla maglietta. E’ vero che forse la retribuzione ci dovrebbe in parte indennizzare anche del fastidio che si prova nel sentirsi comunque criticato da qualcuno , a volte anche un po’ odiato. Nonostante la mission del nostro lavoro sia fare tutto il possibile per trovare una quadra che faccia marciare il carrozzone nella maniera più rettilinea possibile. E per fare ciò non è necessario scomodare Carlo Rubbia per spiegarci che  tutti i movimenti devono essere sincroni e unidirezionali in modo che le energie si sommino e non si sottraggano. Per favore, suggerimenti sì (quanti volete), critiche pure, anche se in misura più moderata (e non aspettatevi che vi ringrazi, visto che non amo l’ipocrisia), ma che siano leali e dirette . Non per similitudine. Indosso la maglia di lana ma non sono una pecora. Non ho responsabilità legali pari alle tue, anche se comunque ci sono e provocano qualche leggero sintomo di insonnia…che a volte si può combattere semplicemente con due buone chiacchiere davanti a un altrettanto buon bicchiere di vino. Buona serata”.

Questa è una piccola imprenditrice della ristorazione: Buongiorno, a volte ho la sensazione che  da un momento all’altro tutto prima o poi debba esplodere. Come facciamo ad andare avanti così? Si pagano tasse e tasse, poi esplode l’ennesimo scandalo dove qualcuno più bravo e furbo  arraffa tutto quel che può. E il bello è che questa gente se la gode e se la spassa. Come nell’ultimo scandalo bancario, chi ci rimette è sempre il piccolo, le aziende soffocano  primo per i costi diretti delle tasse, ma dobbiamo aggiungere anche quelle indirette, come la burocrazia che ci soffoca. Non siamo mai in regola, costi  enormi che si accumulano anche quando dormi. Credevo di aver lavorato ed essermi costruita una pensione per la mia vecchiaia decorosa: quasi quasi  non mi basta neanche per pagare la luce e se non lavoro mi rimangio tutto. Premetto che il mio lavoro mi piace e lo faccio volentieri, sono una piccola artigiana e il lavoro artigianale in Italia è veramente discriminato: dobbiamo sparire e lasciar spazio alla Cina e la grande distribuzione? Mi scuso per lo sfogo, le auguro liete Feste”.

Alcuni ex colleghi:

Ciao Lauro, anche con questo tuo articolo hai fatto centro su un aspetto della realtà lavorativa che vediamo tutti i giorni: quello del concetto di “datore di lavoro” e “dipendente”.
Io ho ancora viva ed ho fatto veramente mia un’esperienza lavorativa con un Amministratore delegato che ci ha fatto davvero capire cosa voleva dire lavorare in squadra…davvero bei tempi quelli! L’obiettivo era vincere, ognuno con il suo ruolo, ognuno con le sue lotte, ognuno con le sue pretese: ma guardavamo tutti nella stessa direzione ed avevamo vinto!
Peccato che la nostra vittoria non sia “usata” dai politici, davvero peccato.
Come in tutte le cose c’è il lato del bene e il lato del male: ci sono bravi imprenditori, bravi manager che considerano i loro dipendenti un tutt’uno con se stessi e che non dormono di notte se non riescono a realizzare i propri sogni, altri che invece pensano solo alla propria poltrona e i dipendenti sono gli altri, i dipendenti non esistono. Allora ben vengano le camicie strappate, bisognerebbe fare piazza pulita, ma qui si entra nel mondo della politica! Grazie Lauro dell’occasione di leggerti e riflettere! I miei più sinceri auguri di un Sereno 2016

Carissimo Lauro, anche se non ho mai espresso opinioni, leggo sempre con interesse gli articoli che mandi. L’ultimo, però, mi ha stimolato un paio di considerazioni:
– Nei confronti del manager (“il colpevole” di turno) si è scatenata la stessa modalità di informazione che coinvolge la politica (corrotta, incapace ecc..) e della quale la stessa politica si nutre. Questa informazione non approfondisce mai nulla, dando al contempo il messaggio che tutti sono uguali e che non c’è speranza, finendo con l’esasperare le emozioni di chi si sente impotente di fronte agli avvenimenti;
– Occorre però avere presente il clima e l’ambiente attuale del mondo del lavoro che offre terreno fertile a questa informazione. Dal confronto di lavoratori che operano in settori diversi (compreso anche il pubblico) ne esce più o meno la stessa situazione:  straordinari non pagati, politiche imprenditoriali non sempre comprensibili, rapporti umani azzerati. Tutto questo non giustifica i comportamenti sbagliati che hai riportato nel tuo articolo, ma di sicuro non facilita la comprensione delle ragioni dell’altro (in questo caso il manager).
Mi risulta più facile parlare che scrivere, per cui mi fermo qui. Mi auguro che in futuro ci possano essere occasioni in cui confrontarci direttamente. Buon anno!

Ciao Venturi, leggo sempre con interesse le tue comunicazioni. Ti scrivo in merito alla tua ultima comunicazione per esprimerti il mio parere. Non partecipo ai social media e non posso risponderti con quel mezzo. Lavorando nell’artigianato, condivido la considerazione dell’importanza dell’impresa.
Considero l’impresa un contenitore/ istituzione al cui interno collaborano e si confrontano tre grandi forze:
– le risorse manageriali: titolari, imprenditori e il loro staff diretto (gli organizzatori dell’impresa);
– le risorse professionali: i lavoratori, coloro che forniscono nel quadro organizzativo dell’impresa le competenze tecniche che sono capacità operative, intelligenza, capacità di risolvere problemi;
– le risorse tecnologiche: le macchine, i processi, le procedure, il know-how.
Dunque due sono le risorse produttive nell’impresa: quelle imprenditoriali/ manageriali e quelle professionali. Entrambe hanno interesse alla continuità dell’impresa: il suo consolidamento o sviluppo garantisce gli strumenti per la vita dignitosa delle persone sia come rimunerazione del capitale investito, sia come rimunerazione delle competenze investite.
Sono consapevole che la mia scelta di mettere insieme nelle risorse professionali imprenditori e manager si modella più su una situazioni di piccola e micro impresa. Ma anche in imprese più grandi, in caso di conflitto, gli staff manageriali si polarizzano e le scelte di posizione si accentrano sulla dimensione imprenditoriale per diverse motivazioni: condivisione – coinvolgimento nelle scelte, privilegi della fidelizzazione.
Stante l’interesse di risorse imprenditoriali – manageriali e risorse professionali alla continuità dell’impresa, è evidente uno squilibrio: finché tutto procede nella continuità, la dialettica tra i due soggetti collettivi è di natura contrattuale (ed è nazionale in Italia perché, a dispetto di quanto dichiarato dai più, non è accettato che una dialettica aziendale consenta il coinvolgimento delle risorse professionali nella gestione d’impresa).
Quando le cose vanno male, quando le imprese sono in cocci, tramite il sindacato si chiede di gestire la protesta dei lavoratori, l’attivazione degli ammortizzatori, ecc.. E il sindacato accetta questo compito di difesa ex post dei lavoratori (che colpevolmente non se ne erano interessati precedentemente perché ne vedevano l’inutilità).Nulla di tutto ciò avviene preventivamente nelle condizioni di “non crisi”.
Non conosco il caso di cui tu tratti in Francia. Non conosco come si organizzi il rapporto tra risorse imprenditoriali – manageriali e risorse professionali, non so come lavori il sindacato, non so quale sia stato il ruolo del management per gestire la crisi che probabilmente era indotta da avvenimenti internazionali.
So che, come in guerra, una parte dei soldati dovrà essere uccisa per conseguire obiettivi nazionali, nelle imprese una parte dei lavoratori dovrà essere sacrificata per la continuità d’impresa.
Ma in uno stato nazionale democratico io posso sindacare con i miei rappresentanti su come viene condotta la guerra, anzi, per certi aspetti la posso anche impedire con il loro voto contrario. In azienda no.
Tanti dicono che la democrazia di ferma alle soglie dell’impresa, ed è veramente così!E allora c’è qualcosa che non va.
Come risorsa professionale dell’impresa devo contribuire alla sua continuità e ne ricevo un salario, ma solo se esercito la mia forza lavoro, come macchina. Disinteressata della gestione, disinteressata dell’organizzazione, disinteressata delle scelte e di tutto ciò cha avviene attorno a me. Interessata solo a che sia alimentata della corrente elettrica (salario) perché funzioni.
Mah! Non approvo i Masaniello francesi, e non approvo la sostanza dei rapporti in azienda. Né posso accettare che casi virtuosi descrivano una realtà totalmente diversa”.

Un altro professionista, con il quale collaboriamo: “Difficile dare un giudizio equilibrato. Si sta diffondendo una dirigenza incapace ed arrogante le cui colpe ricadono sulla ‘forza lavoro’. Perdere il lavoro per colpa di chi  è strapagato ed ha fatto scelte anche disoneste che hanno rovinato l’azienda non è facile da mandare giù. Cosi come penso siano inconcepibili liquidazioni stratosferiche concesse a manager di una azienda in vistosa perdita. Sono stati questi gli errori che ci hanno portato indietro nel rapporto di fiducia e rispetto o anche solo di tolleranza. Sento amici che hanno funzioni di vario livello (anche elevatissimo) in banche, finanziarie, società di servizi…. Quasi ovunque c’è una dirigenza scandalosa. Carriere di persone capaci ferme perché per il dirigente è più facile confrontarsi con un incapace che con uno competente che potrebbe sapere più di lui. Fondi pensione spariti nel nulla con la complicità dei sindacati bancari, cose da non credere. Con questa situazione e con dei sindacati che soffiano sul fuoco va a finire male. Quando come dirigente ho dovuto fare un licenziamento collettivo per salvare la azienda, invece, ho trovato sindacati capaci, che hanno collaborato e consigliato. Del resto avevo agito da persona corretta e, anche se le retribuzioni non erano elevate, agivo in modo onesto nell’interessa di tutti,  nessuno mi ha rincorso o minacciato. In sintesi… bisogna cambiare le dirigenze, licenziare i dirigenti incapaci e fare azioni di responsabilità dall’alto. E poi, solo dopo, preoccuparsi dei licenziamenti collettivi. Bisognerebbe processare e condannare i fomentatori di odio, quelli che alzano il livello dello scontro. Licenziare chi non lavora (e questo dovrebbero farlo i sindacati, come succedeva una volta che erano le gilde a tutelare la qualità del lavoro e non i previlegi): ma queste sono cose irrealizzabili…
Oppure, cambiare Paese, ma ormai lo fanno tutti e il nostro è il paese più bello di tutti ed è per questo che ci danniamo per salvarlo. Davvero una situazione complessa. Le auguro il meglio per il 2016 sperando che ci siano tante cose buone tra cui scegliere
”.

Un imprenditore conosciuto nella mia avventura milanese: “Carissimo Lauro, si finisce a volte col confondere il bancario con il banchiere, tuttavia a volte il bancario si rende complice delle malefatte ordite dal banchiere e qui nasce, a mio  avviso, l’equivoco.
Nel nuovo mondo produttivo dove l’effimero è l’aspetto predominante si cerca il risultato immediato per dare il dividendo a fine anno agli azionisti. So che con te sfondo una porta aperta perchè ben conosci il problema in modo approfondito e non sono in grado di spiegarti nulla di nuovo. Il problema, rielaborato da Thomas Piketty sulla redistribuzione del reddito, ci riporta ad una industria o azienda che ormai non esiste più, dove manca una progettualità futura che ne determina il valore. Si pensa solo al domani, senza destinare le risorse necessarie a ricerca e sviluppo e molti dirigenti, non certo quelli di olivettiana memoria, si preoccupano delle loro stock option anche tagliando posti di lavoro che potrebbero essere magari salvaguardati in parte con una redistribuzione delle risorse finanziarie diversa.
E’ comprensibile che per un manager come Te, ma siete rimasti in pochi, che cerca sempre di valorizzare, uso una parola brutale, il materiale umano a disposizione, diventi insopportabile vedere bistrattare un suo collega, ma forse quest’ultimo è tutto tranne che un tuo collega. Quel manager in quel momento era il complice, pagato 1000 volte il dipendente incazzato, del “banchiere”. Un caro abbraccio e  auguri di buon anno
”.

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