Dopo uno sfizioso toast tirolese e una fresca birra, la stilografica ha cominciato a tracciare parole sul quaderno, appoggiato sul tavolo di una baita poco sopra l’arrivo della cabinovia del Klausberg. Ero appena stato sull’Hochnöckl, a oltre 2.510 metri, e scendere in bici, pur essendo ovviamente meno faticoso che salire, richiede ugualmente molta attenzione e comunque braccia e mani sono molto sollecitate.
Riflettevo che ultimamente faccio due riflessioni ricorrenti: l’accesso versus il possesso e la Coppia.
Probabilmente, rifletto ora, esiste un legame tra queste due riflessioni, perché spesso la coppia cade nel possesso: mia moglie, mio marito…
Vediamo l’accesso.
Tutto questo ben di Dio di monti, boschi e laghi è immenso e non possederlo, non solo non è un handicap, ma una fortuna: sai quante preoccupazioni a tenere tutto in ordine!
Però io ne ho accesso a tutto questo, basta qualche scarpinata, qualche pedalata, a volte una funivia (un po’ cara, ma prova te a fare un impianto di risalita). Ed è come se fosse mia, tutta questa bellezza, perché in quel momento che me la godo, fuggendo una folla che qui in Valle Aurina non è mai opprimente, quella roba lì è tutta mia.
Il possesso invece è senza dubbio pesante, in primis perché porta indissolubilmente con sé la paura della perdita. Certo, la tua casa in proprietà, per noi italiani poi, ci sta, ma tutto l’altro è un di più.
Il possesso porta inesorabilmente all’accumulo, dove l’avere è il fine, non più il mezzo. Povero Fromm con “Avere o essere?” o Enzo Spaltro con il Bellessere (speranza di un benessere futuro).
Sì, soprattutto quando si ha disponibilità di denari, resistere all’accumulo è una competenza.
E poi, in questi giorni, penso anche alle coppie. Ne vedo tante, in albergo, a camminare, nei rifugi: il mio occhio è certamente di parte, però ci vedo prevalentemente un legame di pesi, non di leggerezza. Ci vedo rancori grandi per piccole questioni, come ben canta Giorgio Gaber ne “La Comune”.
Il mio sguardo su queste coppie non è giudicante e nemmeno sarcastico.
Ieri, un uomo di nemmeno cinquant’anni ha sbottato: “Non ci vengo più in montagna, non è possibile andare avanti così…”. Ce l’aveva con il figlio che faceva i capricci, e anche il suo “Bambino” si ribellava. Ho ricordi nitidissimi, simili, di vacanze così e delle fatiche che spesso non pareggiavano le gioie. Ho anche chiaro che spesso siamo noi gli artefici di queste insoddisfazioni: ma questo è un altro discorso.
Aldilà del fatto che la coppia non esiste in natura (che contempla invece l’accoppiamento), fatico davvero a pensare, per me, a una vita di coppia. Certo, qualche nostalgia del “per sempre non so come” ce l’ho, ma è là in fondo, e forse appunto è una nostalgia, non uno sguardo o un progetto verso il futuro. Credo, senza ambiguità, che la coppia abbia poi bisogno di un equilibrio complesso e articolato, nel quale il concetto aprioristico di “parità” appare a me quasi ridicolo, nel senso che, pareggiando le diversità, poi rende tutto piano e insipido. E la vita piana è per i dilettanti. E così, con un caffè americano e una grappa al cirmolo, queste parole scorrono fluide e non si chiedono dove andranno.
Lauro, 19 agosto 2023
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