Il dizionario delle cose perdute


 

“Il dizionario delle cose perdute”, ha ragione Gianni Mura, è un libro leggero come una libellula.

Con disincantato senso del tempo inesorabile, Guccini ricorda oggetti, personaggi e situazioni che non ci sono più.

Quasi tutti quegli oggetti me li ricordo anche io, tranne le biglie che si usavano per scimmiottare il Giro d’Italia: quand’ero bimbo c’erano già quelle di plastica, giudicate schifosamente moderne dal Maestrone. D’altronde, quindici anni di differenza…

L’esilarante descrizione di oggetti e situazioni non nasconde mai un senso di intimità, che non so se sia malinconia, rimpianto… e che credo sia poco importante definire.

Bellissima la presentazione alla libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte, a Milano, mercoledì 29 febbraio, gremita all’inverosimile. Rita, la manager di Guccini, è stata gentilissima e mi ha fatto accomodare nei loro posti riservati. Anche il figlio di Renzo è sempre molto gentile.

A fianco al grande Vince Tempera, che se la spassava ad ascoltare Francesco che duellava con Gianni Mura in un clima di ironia e divertimento, ho ripercorso le braghe orribilmente corte, le cerbottane, la carta moschicida, fino a capire il perché una volta al cinema pioveva.

“Bàin, sa fét chè a Milàn, Lauro?” “Ci lavoro, Francesco”.

Ho visto Guccini in gran forma, tranne alla fine, quando ha visto una fila sterminata di persone che volevano farsi autografare il libro. “Acsè an finàm piò…” ha borbottato tra sé e sé, mentre Teresa, diligente, gli preparava la pagina del libro sulla quale apporre la sua firma frettolosa.

Notizie delle notizie, probabilmente in autunno andrà in sala di incisione. Intanto, questa pausa l’ha proprio ritemprato.

 

 


 

 

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