A Bocholt, al confine tra Germania e Belgio, il mio babbo fu interato in campo di concentramento come “militare non collaborazionista”: così recita il diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia, consegnato nel 1984 e firmato nientemeno che da Sandro Pertini e Giovanni Spadolini.

Dieci anni prima, il mio babbo ricevette la Croce al merito di guerra:

     

Laddove c’era lo stammerlager ora c’è un canile, tanto per dire della delicatezza dei teutonici: ma tant’è. Comunque, ho preparato un ricordo con le fotografie di mio babbo militare e la cartolina che inviò ai suoi genitori, dicendo loro che il mangiare non mancava e che dormiva come mai.

Peccato che rientrò a casa (dopo sette anni tra guerra in Albania e campo di concentramento) che pesava 30 chili, zaino, pastrano, scarponi ed elmetto compresi. Dopo la sua morte mi ha lasciato un diario, dal quale risultano chiare le angherie, la fame ed i tormenti del campo di concentramento.

La visita a Bocholt è in in certo senso una tappa riparatrice, come scrivo in questi versi:

BOCHOLT 1943 – 2023
Oh, caro babbo
hai visto dove sono?
Qui ora c’è un canile,
bestie prima e bestie ora.
La chiamavi la tua tragedia
quei sette anni di guerra
e di concentramento,
di fame e di botte.
Per tornare con trenta chili
di pastrano, scarponi,
elmetto. E pelle e ossa.
Sono qua per riattaccare
il grasso che toglievo
al prosciutto,
son qua a finire
ciò che lasciai nel piatto
con l’innocente sfacciataggine
di chi aveva ancora
tanto di quel futuro.
Sai, mi piace pensare
che tu possa vedere
questo tardivo risarcimento.
Comunque, puoi riposare adesso,
che le pecore son tutte nell’ovile.