Ho finito il libro di Varanini e, scimmiottando Ligabue, mi verrebbe da cantare: “Caro il mio Francesco, è un libro bello, utile e coraggioso”. Tra le pagine traspare la robusta preparazione dell’autore, ma anche le sue esperienze dirette, non sempre positive. Con l’onestà che lo contraddistingue, nella parte finale dell’appendice poetica, Francesco ammette: “Ho scritto per non arrendermi, per reagire, per elaborare dispetto e delusione”.
Se dovessi scegliere una frase, un concetto che racchiuda ciò che la lettura di “Contro il management” mi ha regalato, opterei per queste parole: “C’è una relazione profonda tra persona e ambiente. Tra le nostre scelte e il mondo. Una relazione che – come aveva ben capito Jung – riguarda più il nostro inconscio che i comportamenti consapevoli. Una relazione che ci appare misteriosa. Eppure, le nostre decisioni sono efficaci quando accettiamo questo mistero, e seguiamo l’intuito, diamo valore alle coincidenze”. Pretendere, perciò, di evangelizzare le aziende con canoni rigidi, da approcciare con ossequio, è quanto meno ridicolo. Eppure i guru del management e le blasonate società di consulenza e formazione si ostinano ad andare in questa direzione.
Il libro di Varanini smonta questa ambizione, che a volte sa di delirio, con la precisione di un chirurgo. I suoi bisturi odorano di storia economica, di letteratura, di sociologia… ma anche, se non soprattutto, di riflessioni proprie, di prese di posizioni chiare. La più importante ed efficace presa di posizione critica è nei confronti di Mr. Finance, il cui mondo ha perso “lo scopo e il senso del limite”.
La centralità della Finanza trova riscontri anche nella toponomastica della Parigi di fine ottocento: la Borsa, ideata da Napoleone, sta al centro della metropoli, mentre le fabbriche vengono costruite in periferia. Più recentemente, Ronald Reagan nel 1982 abolì la legge “Garn – St German” dando il permesso agli Istituti Finanziari di giocare d’azzardo con i soldi dei risparmiatori. Non solo, vennero aboliti anche i vincoli in base ai quali chi voleva sottoscrivere un mutuo doveva garantire un sostanzioso anticipo. Così le famiglie hanno iniziato ad indebitarsi per la totalità dell’investimento, con i risultati che dall’estate del 2008 ben conosciamo e soffriamo.
L’ubriacatura della finanziarizzazione dell’economia, della quale abbiamo ancora i postumi post sbronza, ha fatto sì che prendesse piede la coltura dominante in base alla quale l’azienda meritoria è quella con elevato indebitamento. L’ho vissuto sulla mia pelle: nel 2007 la società che amministravo venne sottoposta ad una due diligence per valutarne la cessione o la fusione con altre strutture. L’azienda era ben gestita, con i conti in ordine, un buon clima interno, clienti mediamente soddisfatti, buon equilibrio tra gestione ordinaria ed innovazione: l’unico rilievo fu, appunto che utilizzavamo troppo poco la leva finanziaria. L’anno dopo avrei voluto telefonare ai consulenti di questa famosa multinazionale per chiedere conto di questa affermazione, ma per fortuna ero già su altri lidi. Quello che mi fece male fu che il valore vero dell’azienda venne messo in secondo ordine, leggendo le nostre sfide, le nostre passioni, le nostre attività con la lente di un modello rigido e pensato per chissà quali aziende! È vero, “Si vuole colpevolizzare la piccola e media impresa proprio perché resiste ai modelli imposti dall’esterno”.
Leggendo il libro di Varanini ho capito meglio: c’è un servilismo totale nei confronti della comunità finanziaria, perciò l’azienda poco indebitata è sgradita perché non sottostà all’abbraccio mortale delle banche e di investitori lontani che leggono l’azienda attraverso freddi report trimestrali.
Un altro elemento ben chiarito nel libro è la questione della crescita dimensionale: “Consulenza e formazione si disinteressano della storia dell’impresa, del suo modello di gestione. La consulenza strategica si riassume in un consiglio: crescere sempre e comunque, e diventare più simili a ogni altra impresa del globo”. Così le banche, sempre meno radicate nell’economia reale di uno specifico territorio, leggono l’azienda attraverso pochi indicatori che non ci dicono nulla delle sue potenzialità e prospettive, tutti concentrati a valutare il rendimento degli impieghi. Quei pochi indicatori, figli di una logica appunto finanziaria e non industriale, sono vere e proprie forche caudine: “Ti finanzio solo se fai così, ti finanzio, ma solo se SEI così”. Più l’azienda è spinta a crescere, più a bisogno delle banche, più ha bisogno delle banche e più perde la propria autonomia.
Tutto questo avviene anche e soprattutto per la complicità dei manager, che nelle grandi imprese (in quelle piccole non ci sono) si preoccupano ossessivamente di “darla a intendere a un investitore lontanissimo”, sapendo che questo è molto più importante di una concreta gestione che nel medio periodo aggiunga valore all’azienda ed agli stakeholders. L’analisi dei manager asserviti alla finanza è puntuale e difficile da confutare. “Un’azienda che cerchi un manager, ad alto o medio livello, finisce per portarsi in casa un cavallo di Troia della comunità finanziaria” avverte Varanini, che aggiunge: “Il manager, premiato in funzione dei risultati che porta, si inchina. Non importa se così facendo trasforma giorno dopo giorno un’azienda che è un fertile terreno in un deserto“. Ancora: “Il manager, trainato dall’attesa del mercato finanziario, finisce per dare le buone notizie attese”.
Ecco spiegato perché aziende che sino a ieri erano in vetta alle classifiche mondiali si sgonfino di colpo come un pallone bucato: “Esiste un interesse comuni a costruire castelli in aria…Il business dell’impresa, l’andamento del mercato, la storia e la cultura e le competenze, la forza lavoro, tutto questo è subordinato agli interessi esogeni di un qualche fondo di investimento”.
Il management esce con le ossa rotte da questo libro che, anche a leggerlo, dà le vertigini. Ossessionato dal controllo e spaventato dall’idea che la strategia non può che emergere durante il quotidiano (…le risposte sono dove meno ce lo aspettiamo), sordo ai segnali deboli che dovrebbero indurre a pensare in modo creativo a soluzioni discontinue, poco incline alla multidisciplinarità e prevenuto nei confronti della diversità, il manager accetta di acquistare dalle blasonate società di consulenza analisi e strategie preconfezionate che in fondo gli assicurano impunità e giustificazione in caso di insuccesso: l’hanno detto loro…. Varanini traccia sette profili di manager e li descrive con precisione ed ironia: il Manager come si deve, il Miracolato, il Complice, il Cocco dell’analista finanziario, il Lobbista, il Cinico Umanista, il Manager cresciuto in casa. È utile studiarli con attenzione e chiederci a quale profilo siamo più assimilabili.
Il libro accoglie ed illustra i dolori degli stakeholders, messi in secondo piano rispetto all’avidità di Mr. Finance. Auspica la presenza di manager che abbiano la fiducia di tutti i giocatori, non solo di qualche privilegiato, ben sapendo che i buoni risultati si trovano all’incrocio di diversi interessi. Manager simili a Robert FitzRoy, capitano del Beagle, uno slop della Royal Navy, che prepara il viaggio con la massima cura, consapevole però che in mare aperto, in posti mai attraversati prima, “… solo passo dopo passo si potrà scoprire cosa fare”. Nel 1861 mette a punto il primo weather report: “Ma cosa sono le previsioni del tempo? Non sono una regola da seguire, una norma da applicare alla lettera. Non sono profezie nè predizioni, ma qualcosa di simile a un’opinione. Una congettura, un giudizio fondato su indizi o apparenze probabili”. Anche Zeno, protagonista del libro di Italo Svevo, “…prende appunti, ma poi li smarrisce. Sa che le decisioni efficaci non discendono dall’applicazione di regole codificate, ma dall’istinto e dal fiuto”. Robert FitzRoy, così come il capitano descritto da Conrad ne “Il Tifone”, sa che carte nautiche, barometri, bussole, carte…non possono comunque evitare il dovere di decidere, pur utilizzando tutti questi mezzi “…per permettere alla mente di cercare la sintonia con la situazione”, accettando la subottimalità ed assumendosi i rischi correlati. A questo devono tendere i manager che vogliono produrre valore sostenibile nel tempo, non alle sirene di Mr. Finance!
“Contro il management”, come promesso nel titolo, lascia aperta la speranza di una costruzione comune, nel senso che qualcosa in ogni caso sfugge al controllo di Mr. Finance, lo voglia o no. Intanto, …”per poter continuare a vendere e rivendere i propri volatili titoli, ha bisogno di un terreno solido da calpestare, ha bisogno dell’economia reale”. Non la può strangolare all’infinito. E poi, Mr. Finance non può ingabbiare in rigidi indicatori il valore della conoscenza, o delle idee, l’importanza della motivazione e della passione che porta le persone a raggiungere il porto in qualsiasi condizioni.
Varanini ci suggerisce di trovare un equilibrio tra fondamentalismo e il nichilismo, di sperimentare diversità, ibridazione, meticciato per fare emergere le risorse che, per conformismo e miopia, non siamo abituati a vedere. Ci avverte però che “Se il management è teoria tesa a imporre comportamenti predefiniti, buoni in ogni dove e in ogni tempo, non potremo andare oltre il management proponendo una qualsiasi altra teoria”, quindi togliamoci l’illusione di leggere un manuale di regole: e per fortuna!
Il libro è un percorso che facciamo illuminati dalla lanterna dell’autore. Un percorso in cui ci sono buche e trappole ma anche scorci belli ed attraenti, nei quali convivono l’orientamento al business e un sincero interesse per le persone. Un percorso che può aiutarci ad abbandonare l’alibi delle condizioni esterne sfavorevoli e impreviste per riattivare le nostre capacità e quelle di chi ci sta intorno, muovendoci con ritmo e in sintonia con l’ambiente circostante per cogliere, istante per istante, il momento propizio.
“Tanto è inutile, e forse impossibile, descrivere la complessità. La complessità può solo essere vissuta” ci ricorda Francesco, condividendo con noi la sua esperienza di nuotare, tra le meduse, nelle acque dell’amata isola d’Elba.
Capoliveri 2008 – Presentazione de “L’ultima nuvola”
Milano 2005 – Presentazione de “L’educazione sentimentale del manager”
Feltrinelli Bologna 2006 – Presentazione de “L’educazione sentimentale del manager”
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