Il Romanzo della Nazione

Avendo un debole per Maggiani è chiaro che sono di parte. Però questo romanzo della nazione è un capolavoro. O, forse, le sue parole costruiscono pagina dopo pagina quello che aspettavo di leggere, senza probabilmente saperlo.
Si dipana attraverso i suoi genitori, con quell’affetto che solo gli orfani, credo, sanno provare.
E attraversa i nonni e i bisnonni, con nomi come Garibaldo e Ideale, a ricordarci che la sovranità è un diritto eterno nel popolo. Attenzione, non ‘del’, ma incastonato dai mazziniani nel popolo.
E il libro attraversa tutti quegli anni, da due secoli fa ad oggi, con lo sguardo pulito di un bambino, perché ‘i bambini per crescere non vogliono dei discorsi, i bambini quello che vogliono sono le certezze’.
Affronta anche la guerra civile che ha lacerato il nostro Paese e che ancora oggi se ne sentono le spaccature, ma lo fa con un garbo che mi ha sorpreso, lasciando parlare Creonte e Antigone.
Ho quattro anni in meno di Maggiani e quindi quegli odori, quegli sguardi e quei sussurri, a volte urlati, di quel periodo nel quale la Nazione voleva riprendersi sono anche i miei, avendo avuto la fortuna, come Maggiani, di nascere in una famiglia economicamente molto modesta. Conosco le facce di quegli uomini e quelle donne che ‘come facessero non lo so, ma era tutta gente che sognava mentre lavorava, e quello che avrebbe fatto con il loro lavoro era la loro utopia’.
Sento che senza di loro, che ci hanno portato da essere una povera terra lacerata e distrutta a una situazione comunque di benessere diffuso, siamo tutti più soli.
Sento che possiamo però continuare a essere un po’ come quella gente, con la testa in aria e i piedi ben saldi a terra, comunque passando il tempo a costruire concretezza e pensiero.
Perché ‘la storia non finisce mai, e va dove deve andare’.
MAGGIANI

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