La pelle

Kurt Erick Suckert nasce a Prato nel 1898, da madre italiana e padre tedesco.

Aver scelto come nom de plume Malaparte forse è stata una delle sue più grande genialate. Malaparte, la parte sbagliata, forse perché, come ebbe poi a dire Berthold Brecht, nato sempre nel 1898, “…Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”.

Nato nel segno dei gemelli, a Malaparte non vengono risparmiate critiche pesanti di essere un voltabandiera, slalomando tra ideologie diverse, finanche opposte.

In effetti, aderì al partito fascista e prese parte alla Marcia su Roma, ma ebbe poi il coraggio di abbandonare il fascismo quando si rese conto di che cosa era veramente.

E pagò di persona, con cinque anni di esilio all’isola di Lipari, l’aver scritto male sia di Mussolini che di Hitler.

Scrittore e giornalista, Malaparte è sempre stato comunque un uomo libero.

E questo libro ne è la prova ultima, non nasconde nessuna atrocità della guerra e nessuna bassezza dell’essere umano, pur non arrivando mai a condannare chi, vinto, cerca di sopravvivere abbassandosi ad ogni inenarrabile comportamento.

Quando affronta con chiarezza gli amici americani, in una lectio magistralis sul comportamento dei vincitori e dei vinti, quando descrive la povera Napoli, quando partecipa alla liberazione di Firenze ma lascia le sue armi senza munizioni perché non vuole uccidere italiani come lui… in quelle pagine c’è uno spessore enorme, una lezione imperdibile di come interpretare la coscienza politica dei popoli vinti.

Una scrittura che mescola dolore e cinismo, lucidità estrema e compassione infinita, senza giocare a carte truccate: “Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. Tutto il resto non conta”.

Che aggiungere alle parole di questo parlatore squisito e grande ascoltatore pieno di tatto ed educazione, come lo definì Montale?

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