L’appetito non si fa desiderare

Per me i campi di sterminio e di concentramento sono nella profondità. Mio babbo, classe 1914, fu ospitato a Bocholt. Tornò, dopo sette anni di guerra in Jugoslavia e Albania e il soggiorno nel campo di concentramento: pesava 35 chilogrammi, pastrano e scarponi compresi.
Quando a tavola si lasciava qualche cosa da mangiare nel piatto, non poteva non ricordarci le vicende di quegli anni, quando masticavano pezzi di suola per placare i morsi della fame.
Con la sfrontatezza che si ha da ragazzi nel migliore dei casi non lo ascoltavo, a volte forse sorridevo anche. Negli anni ho scoperto che era una sana difesa per cose troppo più grandi di me, ma non ho fatto in tempo a dirglielo. Così come non ho mai letto i suoi diari di quegli anni, finché non è morto.
E allora gli rendo seppur tardivamente omaggio, con questa cartolina che scrisse a casa, tranquillizzando i genitori che stava bene: “Il lavoro non mi manca mai perciò mi passo il tempo bene e alla notte dormo come non mai e l’appetito non si fa desiderare“.

E…

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