Un omaggio alla memoria, alle malinconiche nostalgie, alla parole che riportano a casa.
L’autore ritorna alla sua infanzia affrescando ogni lettera dell’alfabeto con i ricordi ancora netti di quegli anni. L’acqua per bere e lavarsi da prendere nel pozzo, il bagno una volta alla settimana, il barbiere che arrivava a casa in Lambretta, la trebbiatura del grano e l’elettricità, piena di pericoli.
Un racconto che privilegia la descrizione dettagliata alla nostalgia, consegnando al lettore un’idea tutto sommato positiva del contesto genuino ed essenziale dei primi anni Sessanta, nella campagna che tra Modena e Bologna diventa collina.
Diverse parole dialettali contribuiscono a dare spessore alla trama dell’infanzia di un bambino curioso e sensibile, che vive in una famiglia numerosa.
Una convincente appendice tecnica spiega il valore dei ricordi, da maneggiare con cura perché hanno anche una valenza terapeutica.
Sicuramente la vecchiezza che si affaccia alla vecchiaia, ma anche la voglia di raccontare ai nipoti un tempo povero di risorse materiali ma ricco di esperienze, sono il propulsore di questo viaggio, che si tiene abbastanza lontano dal «si stava meglio quando si stava peggio».
Leggendo queste pagine, scopriamo che il piacere di raccontare prevale su qualsiasi altra motivazione, solo apparentemente più nobile.