MGC Romanzo reale

Ricevo, da una gentile persona conosciuta decenni fa, con la quale non ci si vede da moltissimo tempo, ma che le parole scritte e lette non lasciano sfuocare, questa riflessione su “Romanzo reale”:

“Ciao Lauro, ogni promessa è debito: ti avevo detto che ti avrei scritto cosa pensavo del tuo ultimo romanzo e ora provo a farlo cercando la sintesi migliore!
Romanzo reale mantiene quanto preannunciato dal titolo: pare davvero di leggere di una realtà emilianissima che è quella che hai sotto casa, dentro l’ufficio e nella tua cucina.  Però è una realtà “sociale” che  alla fin fine tu fai diventare “epica” perchè quello che poi ti rimane (almeno a me) è proprio la drammaticità dell’epoca che viviamo, una drammaticità che và oltre la contingenza dei nostri giorni, pur partendo da questi, per diventare paradigma di ogni epoca in cui ci sono stati conflitti di classe (anche se forse il termine classe è anacronistico ormai), lotte  tra i deboli e i forti, tra i prepotenti e gli oppressi. E questa è secondo me la qualità che anche a distanza di tempo dalla lettura ti rimane in testa e ti fa pensare che è  valsa la pena leggere quel libro.
Ma, (entrando in un discorso più analitico e critico) quando leggi, l’identificazione che istantaneamente scatta con alcuni personaggi, la conoscenza così profonda della realtà che vivono (è la tua!) genera certamente partecipazione ma, viceversa, può anche creare  noia….per l’amor di Dio: non voglio mica dire che manca l’evasione! (i romanzi d’evasione sono proprio quelli che mi annoiano davvero) solo che se anche nel realismo non ci sono elementi un pò “stranianti”, verosimili ancor più che veri, specie nella trama, allora l’interesse può calare.
Nel caso di Romanzo reale questo succede, secondo me, subito dopo l’inizio (l’inizio è molto buono) e prima della 2° parte che ha un andamento con più ritmo e più denso. quello che voglio dire è che potevi osare qualcosa di più anche nella trama senza per questo tradire la fedeltà al vero.
I personaggi sono ben caratterizzati ma a pennellate decise con poche sfumature (sia i protagonisti che i comprimari) e questo, diversamente che per la trama, li rende paradossalmente meno veri, meno persone e più personaggi, ma personaggi funzionali alla disegno complessivo più che esistenti per loro forza (da qui anche l’idea di “epico”).
Mi spiego meglio: possibile che Enrico (o anche suo figlio) sia così totalmente  e uniformemente negativo? e che Libero e Mario siano così in modo precisamente speculare, positivi? Possibile! mi dirai tu. E io penso: se anche così fosse nella vita, sulla pagina qualche sfumatura, qualche “crepa”, qualche dissonanza la devi prevedere: dà autenticità e forza.
E’ come ritrarre un paesaggio: se guardi un paesaggio di Van Gogh ne trai un’impressione di realtà molto forte e senti l’essenza di quell’immagine.
Eppure sai perfettamente che il paesaggio non è davvero così, che se lo copiassi pari pari com’è verrebbe tutta un’altra cosa. Intendi cosa voglio dire? 
Questo punto insieme al precedente sono per me i due punti più critici, quelli che sistemati un pò ti fanno fare un bel salto in avanti!
Poi mentre lo leggevo mi venivano in mente altre cose, ma ora a distanza non mi sembrano più così importanti.
Per il resto, la lettura è stata davvero gradevole, ho apprezzato molto la scioltezza delle frasi e la ricchezza dei vocaboli: davvero sono rimasta stupita dalla facilità di scrittura che hai! Riesci a rendere quello che vuoi con una scrittura fluida, non spigolosa ma nemmeno troppo morbida, ricca ma non pesante…insomma hai un tuo stile personale e, per me avere uno stile personale non coincide meccanicamente con il sapere scrivere bene, và oltre!
Bè adesso smetto, alla faccia della sintesi!
Ma insomma non è mica facile recensire: all’autore poi!
Però come hai visto sono stata assolutamente sincera perchè se queste mie parole hanno uno scopo può essere solo quello di regalarti elementi di riflessione portandoti la voce di una lettrice che non ha altri meriti se non quello di…leggere!
Al prossimo romanzo! Cari saluti. MGC”

Ringrazio di cuore questa persona gentile, ne ho apprezzato molto i commenti ragionati e fondi. So che è una persona di buone letture e robusta cultura.
In effetti dico sempre di essere uno scrivente, e non uno scrittore. Nel senso che non è il mio mestiere.

Ho relazionato con diversi editor ed utilizzato alcuni consulenti editoriali. Alla fine, però, ho sempre fatto di testa mia, pur mettendo in pratica i loro molti consigli, senza che smarrissero il mio stile personale.
Scrivo romanzi e testi molto incentrati sul “sociale”, Pavese direbbe che è il mio vizio assurdo. Scrivo di quello che conosco e che so.
Credo sia utile scrivere di queste cose per diverse ragioni, perché i più giovani possono avere uno spaccato (di parte, ma col cuore) di un mondo che non hanno visto. Ed i meno giovani ricordare, utilizzando il libro come pretesto per fare andare i ricordi.
In merito alle osservazioni, molto centrate, della mia amica, confesso che volutamente sono stato manicheo con Enrico e con Libero perché, in questi tempi, sento con irritazione i “grigi”.
È anche vero  che la descrizione dei personaggi non concede troppa conoscenza, avrei sicuramente potuto lavorarci di più, senza tradire la fedeltà al vero. Non c’è dubbio, la trama è la vera protagonista di Romanzo reale. Ho scelto uno sguardo più da cronista che da psicologo. Un po’ perché temo l’eccessiva personalizzazione di cui si abusa oggi, in TV, sui giornali, sui social network…; un po’ perché l’ossessione giustizialista della trama ha probabilmente avuto il sopravvento: avevo appena iniziato a lavorare nel settore finanziario e ne vedevo i guai che provocava e che avrebbe provocato.
Inoltre Romanzo reale viene dopo L’ultima nuvola, il mio primo romanzo, nel quale di almeno un paio di personaggi avevo tracciato l’idealtipo, utilizzando le mie competenze di counselor e coach. In quel libro ci sono moltissimi dettagli e tanti flash back: qui mi ero imposto di essere meno barocco.
Bè, comunque, che lusso scrivere e poter parlare di scrittura. Ne vale la pena!