Onore a chi spala

L’altra sera un mio amico fraterno mi manda un messaggio perché, guardando in televisione la drammatica situazione nelle zone terremotate, trovava ingiusto i commenti di chi diceva che non si stava facendo niente: “E tutta quella gente, i volontari, che si danno da fare?” Mi chiedeva, poi, di scrivere qualche cosa (sa che me la cavo, con le parole) perché avrebbe voluto ringraziare tutti quelli dei soccorsi. Gli ho risposto che non me la sentivo, seduto al caldo, di scrivere anche solo due righe. L’unica condizione sarebbe stata che, invece di andare a sciare, come faremo tra pochi giorni, avessimo utilizzato quei giorni per andare anche noi a fare la nostra parte. Ho sentito che c’è rimasto male e ieri sera ho buttato giù due righe:
Sono ore e giorni drammatici per tante persone che, colpite dal terremoto, dalla neve e dalle valanghe, rischiano la vita, o l’hanno già persa. Viviamo in un mondo ipertecnologico, eppure siamo impotenti quando la terra dice la sua. In questi momenti, ritorna al centro l’uomo, con le sue mani, le sue gambe e la sua testa. L’uomo che fa, si veste e va a scavare, di giorno e di notte, per salvare ciò che si può salvare. Mentre lui (o lei) scava, prende freddo e rischia, tante altre persone, comodamente sedute al caldo, commentano, giudicano, esortano: “Bisognava pensarci prima, che schifo, nessuno fa niente, se l’elicottero…” L’uomo che scava, per fortuna, non sente queste idiozie. Non ha bisogno di applausi o riconoscimenti, basta a se stesso. Mentre gli altri sputano sentenze e consumano fiato, lui lo deve centellinare, quel fiato, perché da lì può passare la differenza tra la vita e la morte, per chi è sotto le macerie. Onore agli Uomini sordi e muti, che fanno. Punto”.

Al mio amico, che vorrebbe un mondo un po’ diverso, posso ricordare e ricordarmi le parole di Gandhi: “Siate il cambiamento che vorreste vedere nel mondo”.

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