4 luglio: Graz – Oświęcim km 655
Il secondo giorno ci vede a Oświęcim, che poi sarebbe Auschwitz. Questa mattina, a Graz, siamo partiti con la colazione, ça va sans dire:
Abbiamo puntato verso Vienna, proponendoci di attraversarla in moto. Complice il caldo notevole e il traffico altrettanto, in modo fantozziano siamo passati in fretta e furia davanti alla reggia di Schönbrunn e, per non disturbare la Principessa Sissi, non ci siamo fermati nemmeno a fare una foto. Rimontati in autostrada, sosta per benzina e piccolo spuntino:
Risaliti in moto, abbiamo puntato verso la Cecoslovacchia, raggiungendo Brno attraverso immensi campi di frumento e altri cereali:
Altra sosta, perché alla nostra età occorre essere ragionevoli:
Verso le sette di sera siamo arrivati a Oświęcim, attraversando paesi un po’ deprimenti e appesantiti dai pensieri che arrivano ogni volta che si vede un binario o una ciminiera. Comunque, mi sono fatto l’idea che ai Polacchi non piaccia “promuovere” Auschvwitz: non ci sono cartelli che indicano la località, se non pochi chilometri prima.
Il navigatore ci ha portati all’hotel: peccato che non fosse il nostro. Piero credeva che io e Beppe volessimo fargli uno scherzo perché aveva già chiuso la moto e scaricato i bagagli. Invece abbiamo dovuto rimontare in sella e arrivare finalmente all’Hampton by Hilton, un’accogliente ed elegante struttura affacciata sul fiume Soła, che scende dai Monti Beschidi ed è un affluente della Vistola, che incrocia proprio all’altezza di Oświęcim.
Questa cittadina è una sorpresa: curata ed elegante perché, come Fedor Dostoevskij fa dire al protagonista del romanzo “L’idiota”: la bellezza salverà il mondo. Io aggiungo: forse.
Io, Beppe e Piero siamo riusciti appena in tempo a mangiarci una pizza perché qui i ristoranti chiudono davvero presto. Tra birre, whisky e sigari abbiamo parlato molto di ciò che vedremo domani, e soprattutto di come sia potuto succedere che qui abbiano violentato e bruciato oltre sei milioni di persone.
Chissà perché, però adesso, in una bella e fresca stanza d’albergo, a pochi chilometri da Auschwitz, mi frulla in testa “La banalità del male” di Hannah Arendt. Inviata del New Yorker al processo contro il boia nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme (condannato per genocidio e impiccato), la Arendt descrive il gerarca nella sua miseria: un uomo comune, mediocre per giunta, senza alcun scrupolo e soprattutto ignaro della responsabilità morale delle proprie azioni. Al processo (consiglio di cercare su YouTube i filmati originali), Eichmann afferma candidamente di aver “soltanto” eseguito gli ordini ricevuti. Ecco che Hannah Arendt sostiene che, dietro questa mediocrità, vi sia appunto la banalità del male, che individui banalmente comuni compiono con non curanza. Mah, non lo so. Riflettevamo che se si comincia a dire “Forza Etna”, oppure “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani…”, e peggio – ci si ride sopra – poi così banale il Male non è.
Inevitabilmente questi giorni non hanno la leggerezza della vacanza, non possono averla.
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