Questo libro di Sheldon B. Kopp mi aveva attratto per il titolo. Poi anche il contenuto si è rivelato all’altezza.
Riporto alcuni brani strappati qua e là, che nulla attengono a un commento strutturato e tanto meno a una recensione.
L’amore è qualcosa di più che l’essere aperto semplicemente allo sperimentare l’angoscia della sofferenza altrui. È la buona volontà di vivere con la coscienza impotente che non possiamo fare nulla per risparmiare agli altri il dolore.
È una mia fortissima impressione che in tali patti, la vittima sia assai più pericolosa del potente guardino, carico di responsabilità. Attenti alle manifestazioni di impotenza cronica della vittima cronica! Alcuni individui si sbarazzano abitualmente delle proprie responsabilità in situazioni difficili (in cui altrimenti avrebbero dovuto prendersi cura di se stessi) mostrandosi indifesi e deboli per costringere gli altri a fare per essi. Se l’altro non risponde, viene accusato di essere crudele e privo di sentimenti. Ma se dovesse assumere con arroganza il ruolo di guardiano, allora l’impotente presto lo considererà con disprezzo come uno sciocco debole e respingerà ogni offerta, mai abbastanza buona per lui.
Jung rileva che “il malato deve imparare non a sbarazzarsi della sua nevrosi bensì a tollerarla. Perché la malattia non è un peso superfluo e insensato, ma è parte di lui stesso; lui stesso è quell’”altro” che cercavamo sempre di escludere.
Vivere senza il potenziale creativo della nostra distruttività significa essere un angelo di cartone.
Quanto spesso facciamo delle circostanze la nostra prigione e delle altre persone i nostri carcerieri!
Vedo che non esiste alcuna prigione oltre a quella che costruisco per proteggermi dal dolore, dal rischio di perdere.
Ogni uomo è capace di calore, di amore, di comprensione; è capace di estendersi, di essere trasparente e vulnerabile nei confronti di un altro. Nello stesso tempo, e forse nella stessa misura, è capace di cattiveria, ipocrisia, inganno e distruttività; è capace di chiudere fuori l’altro e di strumentalizzarlo deliberatamente.
La vita talvolta può sembrare una gabbia malcostruita entro la quale l’uomo è stato condannato a essere libero. È difficile per l’uomo condannato a questa libertà affrontare il fatto di sentirsi un disadattato in questa vita, difficile finché non scopre il segreto che “tutti gli uomini, in fin dei conti, sono disadattati[1]”. Non sembra ci sia una via di uscita.
[1] M. Maddock, “A 49 Year old with a future”, 1971
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