Stamattina ho appreso che una persona della mia età, con la quale ho lavorato per oltre venti anni, è appeso al respiratore. Allora fa un po’ più impressione quando sai che un essere umano, con il quale hai parlato tante volte, c’è cascato dentro. Qualcuno vicino a te, non uno delle centinaia di numeri che ti propinano i telegiornali e gli ossessivi “speciali Covid19”. E’ un po’ come sentire avvicinarsi l’idea: “Se è capitato a lui, perché a me no?”: per altro ieri mi ha attraversato la strada un gatto nero.
Sul web girano tanti video dissacratori, anche il mio caro figlio (che non vedo da un mese, come i miei nipotini) ne fa di carini. Sicuramente servano per sdrammatizzare un po’, però alla fine questo non dura. È come lo slogan “tenere botta”, certamente un bel modo di dire: ma se non ci sono gru, betoniere, impalcature, ingegneri, tecnici, muratori, cemento, pranzi caldi, tende per dormire, investimenti economici,… puoi tenere botta fin che vuoi ma il terremoto ti uccide.
Per questo mi hanno colpito le parole di Massimo Recalcati, che ho ascoltato durate una serata di alcuni mesi fa per ricordare Claudio Lolli. Ci ricordava che sperare, avere fede… ha il respiro corto e forse non solo è inutile, ma anche dannoso: “Il Pasolini paolino ci aveva già ricordato che le parole <fede> e <speranza> di cui si nutrono i rivoluzionari e le loro <magnifiche sorti e progressive> possono rivelarsi mostruose. Esse alludono infatti ad un futuro radioso senza male, morte, dolore, mancanze, senza più uomini in carne ed ossa. Queste due parole senza quella dell’<amore>, della <carità> …, sono solo parole oscene che hanno armato le mani dei peggiori assassini“.
Per chi vuole leggere tutto l’articolo, ecco il link. Intanto, se domani non piove taglio l’erba.
Buena suerte, amigos
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