Due giorni di studio, ascolto, riflessioni e divertimento!

Ho passato due giorni molto belli a Cervia, al Congresso dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale alla quale sono associato.

In verità sono arrivato giovedì sera ed ho cenato, nel vivace centro di Cervia, con il mio amico Alberto, qui ritratto con Elisabetta e Carlo al Centro Berne, dove ci siamo diplomati Counselor. Era da prima di Natale che non ci vedevamo e mi è piaciuto stare con lui.

Quest’anno l’argomento erano i talenti, persone che fanno la differenza, soprattutto nella cosiddetta “economia della conoscenza”.

Direttrice d’orchestra efficiente ed efficace, il vice presidente nazionale e presidente del gruppo regionale emiliano romagnolo, Isabella Covili Faggioli, che ho avuto la fortuna di conoscere in occasione della presentazione de “L’educazione sentimentale del manager” alla libreria Feltrinelli di Bologna.

Come si può vedere scorrendo il programma, i lavori sono stati intensi ed i relatori di qualità: Ivano Barberini Presidente dell’Alleanza Cooperativa internazionale, Marina Salomon, Davide Cervellin (diventato cieco a sedici anni ha deciso che non sapeva cosa farsene delle elemosine e ha messo in piedi un’azienda tecnologicamente avanzata che produce attrezzi per le persone colpite da handicap), il Presidente di IBM Italia Andrea Pontremoli, Matteo Marzotto Presidente di Valentino, Sabino Pezzotta, Davide Passero Amministratore delegato di Genertel (gruppo Generali), il Presidente Federalimentari Giorgio Sampietro (già Presidente Unilever Italia).



A queste testimonianze, che sono state davvero la parte più pregnante perché il racconto delle esperienze ha una potenza incredibile, si sono alternate sessioni internazionali e la presentazione di un paio di ricerche. Senza fare in alcun modo un rapporto esaustivo di tutto ciò che è stato detto, riporto in modo disordinato frasi e concetti che più mi hanno colpito. Se si è un capi, occorre mettere a frutto il massimo talento che le persone hanno e non esaltare solo il proprio. I talenti si contraddistinguono per una volontà incredibile di crescere ed imparare, trasmettono energia positiva e contagiosa, e possiedono tanta ironia. Il talento però non è un genio solista, sa anche fare squadra. Così come non va confuso con una persona ad alto potenziale.

Per creare un ambiente favorevole alla scoperta dei talenti e al loro permanere in azienda occorre avere valori autentici e metterli in pratica in modo coerente, coagularli intorno ad un progetto, schivando la burocrazia perché bastano poche regole se esiste una cultura aziendale solida e un clima generoso, nel quale le persone amano condividere conoscenza, successi e visioni. Quando i valori aziendali e quelli individuali non coincidono, la persona di talento spesso se ne va, ma potrebbe anche rinunciare (sta nella nostra azienda ma non lavora più con motivazione) oppure si incattivisce.

I talenti sono anche scomodi perché cambiano le regole e rovesciano la logica consolidata, spesso troppo legata al passato. Non li comandi ma li puoi convincere, anche attraverso le emozioni e l’empatia, creando un ambiente che non si vergogni dell’errore ma lo sappia accogliere. Occorre certamente valorizzare il lavoro di gruppo ma non trascurare il singolo, che vuole la soddisfazione dei suoi bisogni e dei suoi desideri. Da solo però il capo non va da nessuna parte perché il direttore d’orchestra è l’unico che da solo non produce alcun suono: pur sapendo suonare quasi tutti gli strumenti, se gli orchestrali si zittiscono, la sua bacchetta muove appena un po’ di aria. Il capo deve sapere che le persone lo seguono per quello che è, non per quello che sa. Però non possiamo pensare di attrarre tutti verso la vision. Il leader conduce verso quella meta, come se si tirasse dietro una corda (provate a spingerla!): chi si attacca bene, gli altri… si attaccano perché la cultura aziendale include ed esclude attraverso i suoi valori.

Non appassionarsi a freddi e teorici modelli organizzativi. Se si lavora con uno schema a matrice può capitare di avere più capi, ma così è la vita: da bambini non dobbiamo rispondere sia alla mamma che al babbo? E mica sempre dicono le stesse cose! E poi ci sono gli insegnanti….Un po’ come quando si analizzano processi complessi: possono anche esserci due o trecento variabili, ma quelle davvero determinanti sono molto poche e, sistemate quelle, poi il sistema si autoregola.

La globalizzazione porta allo scambio tra persone e credenze diverse. Per una multinazionale è normale avere persone con la pelle diversa, gli occhi diversi, religioni diverse, così come un’azienda globale pensa che clienti, fornitori e dipendenti si possano trovare in tutto il mondo e quindi non dirà mai che delocalizza (tranne quando andrà su Marte) perché il suo locale è il globo! L’interculturalità (diversity management) è non solo una necessità ma anche una grande opportunità, che andrebbe insegnata fin dalle scuole materne. Invece, come faceva acutamente osservare Enzo Spaltro nelle sue considerazioni parsimoniose (che differenza di stile con alcuni pochi pavoni reali che non rispettavano i tempi neanche se gli staccavi il microfono), gli ospiti stranieri ci hanno detto che in Italia abbiamo un’insufficiente mentalità del network. Ma non ci si sposta geograficamente se prima non ci si muove mentalmente.

È stato bello ed utile riflettere su come le persone siano davvero centrali per il successo di un’azienda e quindi chi si occupa della gestione e dello sviluppo delle persone in azienda deve anche comprendere le dinamiche del business ed essere al servizio dei suoi colleghi di linea (produzione, vendite, acquisti…). È giusto garantire più flessibilità in entrata e in uscita nel mondo del lavoro, integrandola però con tutti gli strumenti necessari perchè le persone non si trovino sulla strada, come merce scaduta o da rottamare! Certo che sono convinto della centralità della persona per il successo, ci ho scritto sopra anche qualche articolo: però è bene ripassare la lezione!

Per evitare di fare un quadro troppo “buonista” è bene ricordare che le aziende devono ogni giorno tenere insieme ossimori come grande velocità ed elevata qualità, ottime prestazioni e costi contenuti,… proprio perché non funzionano solo in un rapporto di causa – effetto, ma devono spesso gestire gli opposti: occorre sapere far coesistere il globale ed il locale, il particolare con il generale, la visione strategica con la decisione rapida dell’adesso! Per questo occorrono persone competenti e motivate, dalle quali prendere e alle quali dare. Le persone vanno sempre e comunque rispettate, sapendo che sono “di più” rispetto ai risultati che producono. Fino a prova contraria in loro bisogna credere e dare loro fiducia. Forse nel breve si può avere successo anche con furbesche scorciatoie, ma sul lungo periodo servono davvero etica e coerenza.

Mi sono piaciute le parole che Isabella ha detto alla fine dei lavori. Più o meno, che è stato un congresso onesto perché ha mantenuto ciò che aveva promesso. E questo conferisce buona reputazione, che forse è anche più importante dell’etica. È stato un congresso contraddistinto anche da un buon livello di educazione, con i partecipanti che hanno seguito con attenzione ed i relatori – talenti non se ne sono andati una volta finite le loro relazioni. Sì, educazione, reputazione e rispetto sono parole molto importanti. Pensavo, nel tornare a casa, che in effetti esiste una classe dirigente, fatta di gente che lavora con serietà ed impegno. E queste persone si trovano ad ogni livello, dall’operaio all’imprenditore, dall’infermiere al medico, dal bidello al professore. Così come ad ogni livello si trovano esempi negativi. Ciò che non va è che il mondo del lavoro non fa audience e quindi se ne parla troppo poco e spesso a livello superficiale. Ciò che non va è che questa classe dirigente (nel senso che porta il Paese su direzioni positive con pazienza, costanza e competenza) quasi mai riesce però ad entrare nelle “stanze dei bottoni”, sempre più frequentate da caste chiuse e autoreferenziali. Non c’è nessuna vena individualista o qualunquista in questa riflessione, e poi un testimone ha detto che un buon talento lascia per tempo i suoi incarichi…perché la storia gliene sarà grata. Rispetto al (non) ricambio della classe dirigente formale ce n’è ancora di strada da fare, ma vedere centinaia di persone che per due giorni si interrogano e discutono con passione su come fare meglio il proprio lavoro e creare migliori condizioni di lavoro in azienda, bè, questa è una bella speranza.

I due giorni sono poi stati anche una bella occasione per conoscere persone nuove, intrattenere anche relazioni informali, conoscersi senza ingessature di ruolo, vedere sontuosi fuochi d’artificio e curare il palato!



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