La Piazza Grande di Modena abbraccia Francesco Guccini

Oh, ciao!” “Ciao, allora?” “La và mèl e po’ la crass”. Ecco il mio primo dialogo con Francesco, nella saletta antistante la sala consiliare del Comune di Modena, in uno spazio allestito da camerino: solite bottiglie di vino, salumi, formaggi, pane…e anche frutta.

Saranno più o meno le 18,30 di mercoledì 30 giugn0 2010, fa un caldo boione. La piazza è ancora vuota, lasceranno entrare le persone tra un’ora. Il palco è già allestito e nel back stage Antonio Marangolo e Vince Tempera chiacchierano accaldati.

Ritorno in camerino e poco dopo arriva Ligabue. Probabilmente avrebbe fatto volentieri qualche pezzo, sul palco, ma Francesco è stato irremovibile: “E’ un concerto come tutti gli altri”.

Lo ripete da tempo, anche durante le interviste a reti nazionali e regionali, con una coerenza che a volte sa di ostinazione.Eppure la città gli ha fatto davvero un’accoglienza memorabile: la Gazzetta di Modena, della quale Francesco è stato precario giornalista intorno ai vent’anni, gli ha dedicato un inserto di quattro pagine. Curiosità, c’è una foto di alcuni anni fa in cui ci sono anche io.



I musicisti vanno a fare il check sound, mentre Francesco rimane nel suo ritiro, circondato da tantissima gente. La piazza comincia a riempirsi ed il sole si nasconde pian piano dietro i tetti.



Iniziano le interviste televisive:



Arrivano anche Vinicio Capossela, Iacchetti e Petrini, dello Slow Food. Antonio Marangolo scalda il suo sax.



Alle nove e cinque Guccini scende lo scalone municipale ed entra nel back stage. Al suo accompagnatore indica un grande masso di marmo rosso e gli dice: “E’ la préda ringàdora, potrei farlo lì il concerto”. E non ha torto, quella pietrona rettangolare è la pietra delle arringhe, che in passato fungeva da palco per i banditori, che gridavano al popolo i decreti. Anche gli oratori vi tenevano comizi ed arringavano la folla. Francesco saprà sicuramente che sulla pietra venivano messi alla gogna i falliti, i truffatori e i ladri, si eseguivano sentenze capitali e si esponevano i cadaveri di annegati, per l’identificazione. Uno sguardo alla luna e poi, accompagnato dalla figlia Teresa e dal figlio di Renzo, Francesco sale sul palco accolto da un boato di oltre sei mila persone: molte sono rimaste fuori.



Sarà pure un concerto come gli altri, però Guccini quando guarda il Duomo e la Ghirlandina per me un po’ si commuove. E la mette in ridere: “Non l’ho fatto io, però avrei potuto, siamo coetanei con Wiligelmo…Vi hanno detto una balla, questo è un concerto come gli altri, io sono il solito cialtronazzo, sono vecchio, come i miei musicisti che devono stare seduti…Ah, la Ghirlandina, l’hanno ricoperta perché come simbolo fallico dava scandalo…Non è una festa di compleanno, li ho compiuti il 14 giugno, come Che Guevara…Oddio, anche Bonolis se è per questo è nato il 14 giugno…”

Si volta verso l’angolo sinistro della piazza: “Là, sotto i portici, c’erano i contrabbandieri di sigarette…”. Mentre racconta le prime feste da ballo, dalla sala consigliare si srotola uno striscione “Perché non la sopporto la gente che non sogna – Modena ringrazia Francesco”. Sbotta: “Che vergogna…”, poi sta per raccontare com’è nata “Canzone per un’amica” ma il pubblico rumoreggia perché le persone davanti non si siedono, e quelle dietro protestano. Allora attacca: la fa#m…

Prossima canzone, “Il tema”.

“Andammo da un amico, che aveva un registratore Geloso, a nastro, e ci fece sentire Jacques Brel, Georges Brassens… Victor Sogliani mi fa: – Conosco uno che ha un disco di Dylan. Io pensavo al poeta e scrittore gallese Dylan (Marlais) Thomas, invece era Bob Dylan. Quei testi, quegli accordi mi colpirono, e scrissi questa canzone…”. Victor Soliani e Augusto Daolio si prendono un grande applauso. E via con “Noi non ci saremo”, che la gente accompagna con il battito delle mani. “Fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà…”, io penso che per fortuna il Duomo e la Ghirlandina sono ancora lì. Finita la canzone, presentazione dei musicisti, accolti da un boato.Guccini parla delle osterie, incontrate a Bologna (si vede che Tondelli a Modena non aveva ancora aperto) con un oste che aveva sempre e solo lo spezzatino e lo proponeva come una prelibatezza. Il vino era solo bianco o rosso e costava 25 lire al bicchiere, uova soda comprese. “Si discuteva del mondo, in quel periodo che annunciava il passaggio violento dall’hippismo agli anni di piombo. Allora ho scritto questa canzone, sotto forma di lettera ad un amica…”. “Sono ancora aperte come un tempo…”.

Fatta la quarta canzone, Francesco riattacca il dialogo: “Sono venuto a Modena con una persona che lanciava anatemi contro il telefonino, ma mandava continuamente messaggi… Una volta le persone andavano affrontate viso a vivo, adesso per lasciarsi si mandano un SMS, mah…La nostra capacità di affabulazione sta scemando sempre di più… Per dire ad una persona che la nostra storia era finita, scrissi una canzone…”: la quinta è “Vedi Cara”.Francesco racconta la storia del film in cui un gruppo di musicisti vinse un premio ed andò a cantare in un campeggio con oltre tremila ragazze, da lì nacque l’idea di fare un complesso. “Victor scelse il sassofono (mai suonato!), io la chitarra, un altro affittava un contrabbasso ma non lo suonava mai…”. Parte “Canzone quasi d’amore”, una delle mie preferite, ascoltata in religioso silenzio dalle migliaia di persone assiepate in Piazza Grande. Guccini ritorna ai suoi anni modenesi, senza un soldo in tasca, si potevano solo guardare dischi, guardare libri,…tristezze immense rievocate per dare il via ad “Incontro”, con un arpeggio dolcissimo e delicato.La sezione degli amori continua con l’ottava canzone, “Farewell”.Guccini racconta di quando sentì “Ne me quitte pas”: “Sono rimasto schienato, pensavo che quel ragazzo (Brel) andava forte davvero. E ho scritto “Ti ricordi quei giorni…”. Finita l’ottava canzone, Francesco si volta a destra: “Contro quel muro sono stati ammazzati dei partigiani. La Resistenza… è passato tanto di quel tempo, ma parlarne ancora fa sempre bene”.Quale migliore incipit per “Su in collina”? Immagino che Emilio Po’ (Otello) fucilato a ventotto anni il nove novembre del quarantaquattro, dopo torture incredibili, sia riconoscente, così come i due giovani, Alfonso Piazza e Giacomo Ulivi, che morirono con lui. Penso che questa canzone epica, con campane, scariche di fucile, Cassio, il Brutto… portino un po’ di sollievo a quei morti. Francesco, per stemperare l’emozione di una piazza che ha ascoltato in assoluto silenzio la canzone, scherza con un ragazzo che fa una foto: “Non sono micca la D’Addario, e poi potresti anche finire in galera per intercettazione…io sono a favore di questa legge libertaria che difende la privacy …”. L’undicesima canzone è “Il testamento del pagliaccio”: “ha un finale patriottico, ma non è micca Và pensiero!”. Finita la canzone, guardando il Duomo, Francesco scherza sul fatto, vero, che ci sia una vertebra di balena, osso fossile relativamente frequente nelle argille plio-pleistoceniche delle nostre zone. “Modena, si sa, era una Repubblica marinara, dopo Venezia, Genova, Amalfi. Quelli di Pisa erano così invidiosi…”.Ellade parte a dare il tempo e Guccini gli fa, scherzando: “Bandini, come mai parti sempre te?”. Parte la dodicesima canzone, “Don Chisciotte”. Flaco è accolto con un applauso immenso, Guccini alla fine, urla: “Flaco Pancho Biondini” e lui, di rimando: “Francesco Chisciotte Guccini”: un’apoteosi. Francesco si riprende con un sorso di chiaretto: “E’ l’ultimo concerto di questa estate, lasciamo che il maestro Tempera…”. E Vince parte con Ufo Robot, seguito dai musicisti e dagli applausi del pubblico.“Uno che ha scritto Dio è morto, Auschwitz,..e vede la folla in delirio per Ufo robot…Ditemi dove ho sbagliato, dov’è l’errore…” scherza Francesco, per poi attaccare “Eskimo”, un cappotto che non era un cappotto, ben prima del sessantotto.Cyrano, Un vecchio ed un bambino, Auschwitz e Dio è morto sono quattro canzoni fatte quasi d’un fiato, per non interrompere il filo emotivo che ogni volta le poesie – canzoni di Francesco sanno trasmettere, interpretate sempre con tanto cuore.

La diciottesima canzone è un fuori programma. Francesco non ha voluto cantare con il Liga, con Capossela o con Zucchero, ma una modenesità se la concede: “Non avevamo neanche vent’anni e uno mi fa: Sai, c’è un tizio del Corni che sa fare l’assolo di Be bop a Lula. Allora lo incontrammo nel parco, per noi era un mito, Cantarella portò la batteria su un carrettino a tre ruote…”.Sul palco sale Franco Fini Storchi, che una settimana fa, inutilmente, aveva provato a convincere Guccini ad incontrare gli studenti, il giorno dopo il concerto.“Mi ha fatto il primo amplificatore da un watt e mezzo…, …oh, non farla in Mi, è troppo alta… Nell’originale il cantante aveva l’effetto eco nell’amplificatore, noi lo facevamo con bestiali contorsioni del diaframma…”. Iniziano il pezzo fuori programma e a me sembrano tornati ragazzi, come in questa foto del 1962, quando suonavano ne “I gatti”. Franco è tra Guccini e Victor, ammirate le casacche con i lustrini.Be bop a lula, la popolare canzone rock ‘n’roll registrata per la prima volta nel 1956 (avevo un anno!) da Gene Vincent e dai Blue Caps lo ha molto impegnato, per cui salta “Un altro giorno andato” e passa ad annunciare “La locomotiva”.Il pubblico si lamenta ma Francesco non molla: “Volete la qualità o la quantità?”.L’ultima canzone come sempre è un’apoteosi, si condensano in quelle note le emozioni di una serata piene ed intensa. A Francesco i modenesi perdonano pure di aver sottolineato che la locomotiva parla di un anarchico bolognese: tra Modena e Bologna c’è una ruggine forte, dal 1935,quando in questa piazza arrivarono uomini in arme trionfanti e festanti perché si erano ripresi la Secchia rapita.

A Francesco Modena ha voluto bene e lo ha festeggiato da cittadino illustre, non da “modenese volgare”.

Francesco è di montagna e di pianura, di balere e di poesie, di canzoni e di racconti.

E poi non è un divo, forse anche per questo entra nel cuore e nella testa di tante gente.

Me lo ricordo quando, nel 1975, una ragazza gli si avvicinò e gli disse: “Dai Francesco, sganciami una fumogena”. Lui la guardò e solo dopo capì che voleva una sigaretta.

Bè. Il Maestrone è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà.

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