Vorrei una vita come la mia



Nella splendida cornice della biblioteca dell’Archiginnasio, in piazza Galvani a Bologna, mercoledì 28 maggio si è tenuta la presentazione del libro “Vorrei una vita come la mia” del professor Marco Santagata, petrarchista di fama internazionale. Con lui Edmondo Berselli, giornalista e scrittore, e Francesco Guccini, che non ha bisogno di presentazioni.

Prima considerazione: come faceva notare Francesco, tre modenesi nel cuore di Bologna (Berselli è di Campogalliano – pianura, Guccini è nato in città e Santagata a Zocca, montagna) introdotti da un elegante signore, l’editore della casa editrice che pubblica il romanzo.

Il pomeriggio è stato simpatico e profondo nello stesso tempo. Berselli ha scimmiottato Marco Santagata perché ha scritto che chi è nato tra il 1946 e il 1950 ha conosciuto due mondi, un’Italia pre e paleoindustriale e quella successiva di entusiasmanti rilanci e speranze sfociate nel Sessantotto: essere nati nel 1951 fa una differenza così grande?

Un’altra cordiale “presa per il culo” l’autore se l’è beccata quando ha detto che a sei o sette anni guardava Rin Tin Tin. Implacabili, Guccini e Berselli gli hanno ricordato che questo allora sarebbe avvenuto nel 1953, quando la televisione obiettivamente non c’era ancora, tanto meno in un piccolo paesino di montagna. In effetti quel pastore tedesco fu oggetto di fumetti, film e serie televisive tra il 1920 e il 1950, ma negli Stati Uniti: in Italia i fumetti arrivarono nel 1930 e la RAI mise in onda i filmati per la prima volta negli anni sessanta.

Dopo queste simpatiche e mai banali rivendicazioni su quale generazione fosse, diciamo così, meglio, i tre personaggi si sono cimentati in interessanti considerazioni sulle marcate differenze tra quelle generazioni e le attuali, dei figli (tutti e tre hanno avuto più matrimoni, segno dell’opulenza?). Tutti e tre condividevano che la mancanza di mitologie attuali e collettive dei giovani di oggi pesano e segnano una differenza forte con le loro generazioni. Francesco osservava poi che quando si fanno i manifesti pro Tibet una miglior cura della sintassi e della grammatica in generale non guasterebbe.

C’è stato anche un interessante dibattito sul significato e sul valore del Sessantotto, con punti di vista diversi: quello di Berselli fondamentalmente critico per il fatto che quel periodo abbia in verità trasformato l’uguaglianza in egualitarismo, la distruzione dell’autoritarismo in massacro dell’autorità…; quello di Francesco più distaccato e meno propenso ad assegnare a quel periodo un significato rivoluzionario in senso politico ma più legato alle evoluzioni e alle speranze delle persone, quindi con valenza – diciamo così – sociologica; quello dell’autore che ne rivendicava i meriti e attribuiva alle generazioni successive l’aver poi mandato tutto in vacca (libera interpretazione mia).

A proposito del Sessantotto: prima della presentazione ho salutato Francesco il quale, dopo i convenevoli, si sposta dal gruppo e mi dice, tra il serio e il (non del tutto) bonario: “Ah, Lauro, ti devo sgridare!”. Cado dalle nuvole e gli chiedo perché, imparando che si riferiva ai commenti, messi sul mio sito e comunicati anche a lui tramite mail alla sua produzione, sull’intervista che aveva rilasciato alla rivista “Charta minuta”, edita dalla fondazione Farefuturo di Adolfo Urso (AN). Ne avevo riportato una sensazione di distacco freddo e quasi scocciato da un mondo al quale, volente e nolente, Guccini è collegato. A questo link 8 si può leggere la mia news di inizio anno e anche quella successiva, nella quale riportavo l’intervista integrale (che in effetti rendeva non del tutto coerente i titoloni scandalistici dei principali quotidiani).

Non abbiamo poi avuto modo di approfondire, Guccini ed io, le ragioni dei miei commenti ma ho capito che non gli erano piaciuti. Alla fine della presentazione, quando ci siamo salutati, mi sono beccato un “Ciao Lauro, mi raccomando…” e quei puntini di sospensione sono troppo sospesi. Allora mi sa che gli scriverò, anche per dirgli che nel mio ultimo romanzo (L’ultima nuvola), che uscirà a settembre, c’è un cammeo su di lui proprio su questa intervista che a me, comunque, è dis – piaciuta.

Sceso le scale ho incontrato Romano Prodi e signora e poi sono venuto a casa lasciando una Bologna affogata di afa e la piacevolezza di avere incontrato e sentito Francesco, che era ed è un mio mito che mi collega ancora e fortunatamente all’adolescenza, come testimonia bene “L’educazione sentimentale del manager”.

Caro Francesco, al 20 giugno, a Porretta!

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