Il 12 marzo 2020 postai sul mio sito la splendida poesia di Mariangela Gualtieri, “Nove marzo duemilaventi”, che si concludeva così: ”Adesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro”.
Mi è tornato in mente questo fatto mentre leggevo il libro di Fabio. Una premessa, l’ho conosciuto quest’estate attraverso due amici motociclisti che, ne ho la certezza, non si interessano né di filosofia né tanto meno di psicologia. Eravamo nel bel cottage di Simone, affacciato su un laghetto delle bellissime colline di Levizzano, per una di quelle grigliate che iniziano poco prima di mezzogiorno e, per i più arditi, finiscono dopo le dieci di sera. “Ci saranno anche quattro nostri amici motociclisti vicentini” affermò Luca. E questo non ci turbò affatto.
Arrivarono quattro biker e, complice il luogo, il buon cibo e l’abbondante vino, entrammo subito in sintonia, creando di fatto un unico gruppo.
Parlando del più e del meno, iniziò con Fabio una conversazione più approfondita, che culminò con un giro in pedalò sul lago. Due “schiavi” pedalavano e io e Fabio, comodamente seduti, a discettare di filosofia e altro, aiutati da un fresco rosè che ci eravamo portati a bordo.
Fatta questa divagazione, torno subito al collegamento tra il libro di Fabio e la poesia della Gualtieri.
Fabio, utilizzando le lenti della sintassi, della semantica e della pragmatica, ma anche della psicologia e dell’antropologia (infatti nella bibliografia ho trovato diversi testi comuni) ci ricorda che “siamo parola e gesto, prima gesto e poi parola”, evocando quella sincerità biologica secondo la quale il corpo non mente.
Il testo mette in guardia tra il “sorriso falso, che interessa solo le labbra, e quello vero”, che fa muovere anche la bocca e gli occhi, e che “compare spontaneamente, quando proviamo piacere”.
Mi ha peraltro colpito leggere che “in età prescolare, i bambini sorridono – se mediamente sereni, circa quattrocento volte al giorno, contro le 15 di un adulto”.
Ecco, mi sono detto, con l’uso indispensabile delle mascherine, la bocca non la vediamo più e perdiamo un pezzo importante di comunicazione non verbale.
Per fortuna qualche cosa ci dice l’orientamento dei palmi delle mani (le cosiddette “corde vocali del corpo”), così come se vediamo il nostro interlocutore stropicciarsi gli occhi probabilmente esprime, più o meno consapevolmente, un disaccordo. Di sicuro, se inizia a sfregarsi l’orecchio si è stancato di starci ad ascoltare. Se si accarezza il mento (ma come fa, con la mascherina?) sta pensando e ponderando, mentre se si sfrega la nuca probabilmente sta vivendo una frustrazione più o meno intensa.
Preciso con fermezza che non è sensato utilizzare questi concetti in modo meccanico, come fanno certi improvvisati esperti di comunicazione: occorre avere conferma da più segnali e porsi in ascolto attivo, senza un atteggiamento giudicante o superficiale verso l’interlocutore.
Fabio, nel suo libro, asserisce: “…comunichiamo, parliamo di noi dell’altro, per circa il 55% con il corpo, per il 30% con la voce (paraverbale) e solo con il 15% con le parole”.
Più o meno la famosa formula <7 – 38 – 55>, studiata tanti anni fa sulle ricerche del 1971, dello psicologo Albert Mehrabian, insegnante presso l’UCLA di Los Angeles. Questo significa che, soprattutto la prima impressione che l’altro si fa di noi, è condizionata non da ciò che diciamo, bensì da come ci presentiamo, dalla nostra comunicazione non verbale. Quest’ultima, per altro, aiuta a comprendere ciò che l’altro realmente vuole dirci, aldilà delle parole che emette.
Mehrabian stesso sottolineava la centralità della coerenza tra i diversi canali comunicativi (corpo, voce e parole), piuttosto che soffermarsi su un’osservazione quasi maniacale dell’altro. Non a caso, nel suo testo, Fabio conferma: “Il messaggio trasmesso è congruo quando le dimensioni della struttura della nostra personalità (cognitiva, emotiva, linguistica…) sono in sintonia e in armonia tra loro”.
Ciò detto, il libro di Fabio evidenzia l’importanza del saluto attraverso l’abbraccio, pratica che con le precauzioni (ripeto, sacrosante) dettate per evitare il contagio da Covid 19, è di fatto vietata. Questa è una grave, e io penso sottovalutata, conseguenza di questa pandemia. Psichiatri, psicologi, sociologi e filosofi hanno scritto fiumi di parole sulle conseguenze del Covid nell’umore, e non solo, delle persone. Prevale però, forse inevitabilmente, un approccio clinico, legato alla sopravvivenza fisica.
Torniamo all’abbraccio, che Fabio definisce “un gesto che produce benessere psicofisico: origina la presenza di endorfine, aumenta l’ossiticina, riduce la pressione sanguigna, rallenta i battiti cardiaci, rafforza il sistema immunitario”.
Aver momentaneamente perso questa modalità di saluto, sostituita dal ridicolo tocco dei gomiti, è tutto fuorché banale. Sicuramente ha modificato in modo radicale la prossemica, studiata dall’antropologo americano Edward Hall all’inizio degli anni sessanta. È sua la definizione di “bolla d’aria”, quello spazio vitale di intimità che non vogliamo condividere con tutti.
Hall definisce tre zone:
– zona intima, dai 15 centimetri al mezzo metro, più o meno;
– zona personale, da mezzo metro a poco più di un metro;
– zona sociale, da 122 cm a 360;
– zona pubblica, oltre i 360 centimetri.
Ovviamente, aggiungo io, queste metriche sono molto sensibili alla personalità dell’individuo (pensiamo a un timido o a un espansivo) e alle aree geografiche.
Sicuramente a Napoli sono più propensi all’incontro ravvicinato che in Valle Aurina, splendido luogo del Sudtirolo dove da anni passo le mie vacanze estive.
Scherzi a parte, a pensarci bene, le norme anti Covid hanno reso impraticabili le prime due zone; non a caso la poetessa Gualtieri racconta la tristezza dello stare lontani un metro.
Il libro di Fabio riflette approfonditamente anche sulle variegate modalità di saluto nelle diverse tribù sparse nel mondo. Interessanti anche le origini e i significati dei “saluti ad alta risonanza”, come Heil Hitler, Shalom, As-salaam ‘alaykum ed altri.
Ciò detto, torniamo al fatto che la pandemia ha radicalmente modificato il modo di salutarci. “Il saluto è un gesto sociale fondamentale perché unisce, collegando, due esseri umani in un terreno comune per cui rappresenta l’uscita dalla condizione di isolamento, dell’estraneità e della neutralità che precede l’incontro. È un’unione senza con – fusione” afferma Fabio, aggiungendo che l’essere umano ha l’esigenza di parlare di se stessi agli altri e sentir parlare di se stessi dagli altri, per ottenere un proprio riconoscimento.
E quanto abbiamo bisogno di riconoscimenti solo Iddio lo sa. Pensiamo al bambino che, pur di ricevere un riconoscimento, anche negativo, disturba e fa casino per attirare l’attenzione.
I riconoscimenti (quelli che Eric Berne, padre dell’Analisi Transazionale definisce <Carezze>) attenuano l’atavica paura di non essere amati.
Semplificando, non ci si sente amati perché, noi per primi, non ci piacciamo, oppure idealizziamo un amore non realizzabile nella vita quotidiana: sempre al top, senza problemi, perfetto ma impossibile.
Queste eccessive aspettative spesso nascondono una scarsa autostima e quindi l’antidoto non può che essere quello di rinforzarla, partendo dal volersi più bene. Se non vogliamo bene a noi stessi, come possiamo credere che gli altri ce ne vogliano?
Dobbiamo imparare a rifiutare le cosiddette “Carezze di plastica”, come gli acquisti compulsivi o il pensare che regalare doni a un bimbo, invece del nostro tempo, sia sostitutivo ed equivalente. Su questo, lo psichiatra Paolo Crepet è irremovibile: “Se a un bambino si regala tutto, gli si sottrae ciò che è fondamentale: il desiderio, ovvero il sentimento fondamentale per costruire una passione“.
Un altro fattore negativo è il crescente ed eccessivo peso attribuito all’apparire, invece che all’essere: il tutto amplificato dal “delirio digitale”, magistralmente cantato da Roberto Vecchioni in “Io non appartengo più“.
Anche Fabio, nel suo libro, descrive molto bene questa situazione: “Il nostro è il tempo della lontananza, non della vicinanza, perché la connessione via web avvicina senza incontrare chi è lontano e allontana, estraniandolo, chi è vicino. Si vive la lontananza <vicina> e la vicinanza <lontana>, nel narcisismo digitale che spettacolarizza il sé, vittima della solitudine affollata dagli incontri virtuali… Si afferma una cultura egolica, un pensiero narcisistico costruito sull’io che utilizza e assimila l’altro. La domanda che mi orienta verso l’altro non è <Chi è l’altro>, ma <Quanto l’altro mi può essere utile?>”.
Questo è un approccio sostanzialmente egoista e utilitaristico, mentre dovrebbe prevalere il senso contrario: “Io ti saluto perché ti rispetto, io ti rispetto proprio perché ti riconosco”. Non a caso Aristotele affermava che si rispetta ciò a cui attribuiamo un valore. La filosofia del saluto è quindi “assimilare e aiutare a com-prendere, stringere dentro l’altro”.
Nel libro di Fabio Peserico ho trovato molto interessante anche il capitolo “Il saluto nell’esperienza del dolore e della malattia”.
Susan Sontag, scrittrice e filosofa americana, definisce la salute il lato diurno della vita e la malattia quello notturno. Fabio riporta il concetto di un monaco tibetano, secondo il quale il nascere e il morire null’altro sono che il venire e l’andare che, per tutto il tempo della vita, rimangono aggrovigliati.
Omero definisce “brotos” l’uomo, colui che è destinato a morire. Platone usa la parole “thnetos”, il mortale. Entrambi sottolineano che morire è parte del vivere. Umberto Galimberti afferma che non si muore per usura organica, ma perché la morte è immanente alla vita. Non sopraggiunge come un accidente possibile, ma forma con la vita la stessa trama che la costruisce e la distrugge.
Però, così come ho scritto “La vita dirà la sua”, penso che ogni tanto anche noi possiamo dire la nostra. Quindi mi piace riprendere il Qoelet : ”Se nulla avrai raccolto da giovane, che potrai avere nella tua vecchiaia? – Eccl.25,3). Voglio ricordare, prima di tutto a me stesso, che vivere bene significa anche invecchiare bene. Su questo tema vi consiglio il libro di Enzo Bianchi, “La Vita e i giorni”.
Tornando al capitolo del libro di Fabio, la riflessione che “…non esistono malattie ma uomini ammalati” mi ha riportato alle agghiaccianti immagini delle file di camion militari che trasportavano le bare di persone morte di Covid, senza poter salutare i loro cari. Sono morte sole, mentre avrebbero avuto un bisogno straordinario di un saluto, proprio quando la loro salute li abbandonava in modo esiziale, definitivamente.
Si chiede Fabio: “Di che cosa ha bisogno chi è ammalato? Di qualcuno che gli sia e gli stia vicino, che gli porti saluti autentici e veri, che gli venga a fare visita”.
Queste persone, spesso anziane e quindi ancor più fragili, non sono morte come i vecchi Indiani che si ritiravano, soli, ad aspettare la fine, in contatto con la natura. Sono morte in strutture fredde, circondati da fantasmi che sicuramente avevano un cuore dolce e forte, ma che non poteva trasparire dai loro indispensabili scafandri. Sono morte senza che nessuno tenesse loro la mano, mentre “…il toccare è un balsamo perché riattiva <la memoria della pelle>: ci ricorda quando eravamo bambini incerti e insicuri, bisognosi di trovare riparo dove non sentire più paura”.
E ancora, citando le parole della Filosofia del saluto: “L’addio che si rivolge a chi muore… non è un abbandonare, non afferma la fine ma è un celebrare…chi se ne è andato, del cui lascito spirituale potremo conservare immutato ricordo. Nell’essere ricordati dagli altri, con cui abbiamo intrecciato vita, siamo continuamente ri-salutati. Nell’atto della ripetizione si mantiene la continuità della relazione”. Questo è stato negato ai quasi due milioni di morti per Covid nel mondo.
Concludo queste considerazioni, che non vogliono avere la dignità di una recensione, con questa frase di Fabio: “Chi trova tempo per salutare e ascoltare dona del tempo”. Anche se Seneca sosteneva che il tempo è un bene che quando viene dato non può essere restituito, nemmeno dalla persona più riconoscente, dedichiamo tempo agli altri perché, in fondo, lo dedichiamo (anche) a noi stessi.
Vi auguro col cuore, lettrici e lettori, un 2021 di gentilezza.
Lauro
PS: le frasi in corsivo sono riportate esattamente dal libro di Fabio Peserico:
Commenti
Grazie amico, seguirti e leggerti è sempre un grande arricchimento interiore.
Grazie, sei sempre gentile!
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